Con la frenesia di tutti i giorni che colpisce ognuno di noi ci siamo abituati a consumare e a comprare prodotti che rispondono in modo immediato alle nostre esigenze. Le informazioni vengono veicolate istantaneamente attraverso il nostro smartphone, il cibo può essere ordinato da un fast food o comprato già cotto direttamente dal supermercato.
La moda negli anni si è adeguata a queste esigenze e sempre più marchi producono abiti dal basso costo per il cliente ma anche dalla breve durata, una sorta di abbigliamento “usa e getta” utile a soddisfare il bisogno istantaneo ma che non è destinato a durare nel tempo a causa della scarsa qualità delle materie prime utilizzate.
Voglio partire proprio da questo concetto per descrivere e definire il fast fashion, prima di contrapporlo allo slow fashion che è esattamente il suo opposto.
Seguire la moda e i trend del momento è molto costoso se si decide di acquistare abiti da passerella e il mercato della moda ha reagito a questo attraverso il fast fashion. Come ha fatto? Semplice, creando capi che emulano gli outfit delle celebrità e delle sfilate ma a bassissimo costo di produzione e, di conseguenza, anche di vendita.
Da un lato il consumatore può giovare di questo vestendosi all’ultimo grido ma dall’altro dev’essere consapevole di che cosa sta acquistando. Spesso i capi comprati che derivano dal fast fashion hanno una durata brevissima, si rovinano presto e sono prodotti con materiali a basso costo, di conseguenza non è una spesa a lungo termine.
Inoltre, voglio spendere due parole anche sull’etica del processo di creazione di questi capi d’abbigliamento che hanno un impatto negativo sia sull’ambiente che sullo sfruttamento del lavoro. Per produrre una quantità illimitata di abiti aumenta necessariamente l’utilizzo della plastica, del cotone e del poliestere, tre materiali che per motivi diversi danneggiano il nostro ecosistema.
Inoltre, la necessità di produrre capi in modo rapidissimo e spendendo poco impone di sfruttare mano d’opera a bassissimo costo, spesso proveniente dal Bangladesh, dalla Cambogia e dall’Indonesia dove non vigono norme severe contro lo sfruttamento del lavoro.
In sostanza, il fast fashion porta ad avere abiti alla moda, a basso costo e sempre reperibili ma incide negativamente sulla qualità dei capi, sull’ecosistema del nostro pianeta e ha un cattivo impatto sociale.
Lo slow fashion è la risposta che viene data al fast fashion, il suo esatto opposto. Per produrre i capi si utilizzano sistemi che rispettano l’ambiente cercando la sua salvaguardia sia nei materiali che nel corso della produzione.
Per farlo ci si avvale di materiali ecologici, riciclati o comunque di grande qualità, per garantire oltre che un basso impatto ambientale anche una maggior durata per chi compra e indossa i capi. Non parliamo quindi di abiti “usa e getta” ma di acquisti oculati che riescono a durare nel tempo senza rovinarsi eccessivamente.
Anche la scelta delle fabbriche di produzione viene fatta seguendo un’etica ben precisa, chi crea capi slow fashion non si avvale di manodopera sottopagata ma sceglie fabbriche che lavorano in Paesi in cui il lavoro viene pagato in maniera adeguata e dove vigono delle leggi sul lavoro autorevoli.
Negli ultimi anni c’è stato un incremento di etichette che hanno scelto di creare i loro capi seguendo i principi dello slow fashion, e questo perché anche i consumatori stanno lentamente prendendo consapevolezza.
La moda “mordi e fuggi” sta pian piano perdendo di potenza man mano che crescono le informazioni sui metodi che utilizza. La presa di coscienza delle persone, in tematiche come l’ambiente o lo sfruttamento del lavoro, è destinata a far crescere il numero di consumatori di slow fashion.
Per questo motivo credo che in futuro questo stile di produzione e vendita potrà essere quello dominante, io l’ho scelto per una questione etica che si allinea al mio personale concetto di moda e anche per dare ai miei clienti il miglior prodotto possibile, e sono felice di questo.
Si è distinto negli anni per la sua grande duttilità, elegante e comodo è perfetto per ogni occasione, dalle cene di gala all’aperitivo con gli amici.
Ma conoscete la sua storia? Se la risposta è no, siete nel posto giusto! In questo articolo andremo proprio ad approfondire il blazer. Siete pronti? Andiamo!
La storia del blazer parte da molto lontano, secondo molte testimonianze nasce nel 1837 quando il capitano Blazer, della nave HMS, prese l’insolita decisione di vestire il suo equipaggio con delle eleganti giacche doppiopetto rivestite da bottoni in ottone.
Secondo altre testimonianze, invece, la sua nascita è da affibbiare a Cambridge, luogo in cui vestivano tale moda i “Red Blazes”.
Qualunque sia la sua nascita, che assume tratti leggendari come spesso accade nei capi di moda, sappiamo per certo chi fu il primo a valorizzarlo: Giorgio Armani.
Nel 1975 quest’ultimo si occupò di vestire Richard Gere nel famoso film “Gigolò”, e per farlo si avvalse del fantastico blazer che da quel momento divenne un cult.
Da lì in poi il capo assunse un’importanza sempre più grande fino a che, a partire dagli anni 2000, entra di diritto anche negli armadi della maggior parte delle donne.
Un capo senza sesso, senza età e senza nessun pregiudizio a priori che ha vissuto una crescita esponenziale e che è destinato a vestire uomini e donne di tutto il mondo per ancora molti anni.
Abbiamo dunque visto le leggendarie storie riguardanti la sua nascita e la sua espansione, ma che cosa rappresenta oggi il blazer?
La bellezza di questo capo d’abbigliamento risiede nella sua capacità d’adattarsi.
Cambiano le tendenze, cambiano i colori e cambiano i canoni di bellezza ma la famosa giacca riesce sempre a stupirci variando al variare della moda.
In particolare, in questo periodo in cui la liquidità di genere ha assunto connotazioni sempre più importanti, il blazer si adatta perfettamente con particolari originali, come ad esempio i bottoni, che possono cambiare nell’aspetto, nella forma e nel colore in modo da rendere più attuale l’intero capo.
Anche io ho deciso di crearne due molto particolari che puoi trovare cliccando sui seguenti link:
https://ivandellamora.com/collections/unisex/products/blazer-idm
https://ivandellamora.com/collections/donna/products/blazer-pink-sleeves
Ogni capo d’abbigliamento ha solitamente un giusto abbinamento, e il blazer non fa eccezione.
Ma come ormai avete potuto capire, sfogliando il mio catalogo e leggende il mio blog, a me non piace racchiudere in categorie predefinite la bellezza.
La moda dev’essere espressione della propria creatività e personalità, e di conseguenza non troverete in questo articolo nessun consiglio asettico su come portare il vostro blazer.
L’unico consiglio che mi sento di darvi è quello di sbizzarrirvi, perché questo capo può sorprendere!
]]>Parlando di cappelli non si può non menzionare il famoso berretto beanie, una vera e propria istituzione nel mondo della moda che si è fatta largo grazie alla sua semplicità e versatilità.
L’abitudine porterebbe a considerarlo un capo alla mano, il classico che si indossa nella quotidianità. È proprio questa sua caratteristica a renderlo un accessorio interessante, poiché permette di poter sperimentare abbinamenti diversi e di focalizzarsi nei dettagli.
Ma non è semplicemente un capo da tutti i giorni, ha molti pregi che lo fanno entrare di diritto nell’armadio di quasi tutte le persone.
Siete pronti, dunque, a immergervi nel mondo del berretto beanie? Andiamo!
Il berretto beanie si contraddistingue per la sua forma peculiare, fatto a maglia e senza parasole, viene definito anche cappello alla pescatora ed è conosciuto da molti con questa denominazione.
Per chi mastica un po’ di inglese la traduzione di beanie è molto semplice, significa letteralmente “fagiolino”, ma sul perché di questo nome le teorie abbondano, divenendo vere e proprie leggende metropolitane.
Secondo qualcuno il nome deriva dalla sua chiusura sulla testa che un po’ ricorda proprio un fagiolo, ma non sembra questa la teoria più accreditata.
Infatti, secondo quanto riporta l’Oxford English Dictionary, “Bean” nello slang comune viene utilizzato con il significato di “testa”, e di conseguenza il famoso berretto ne avrebbe assorbito in parte il significato per il suo ovvio utilizzo.
Qualunque sia la verità a proposito della genesi del nome io continuo ad ascoltare ogni teoria, fantasticando alla ricerca delle più bizzarre.
Caldo, comodo, versatile e semplice, basterebbero 4 aggettivi per identificare i motivi del successo di questo berretto, eppure ne può vantare molti altri.
Essendo lavorato a maglia è molto pratico anche nel suo utilizzo, potendolo piegare comodamente e dunque posare in tasca o in borsa.
Inoltre, se ne trovano di molti tipi, colori e con gli accessori più variegati, così da poter esprimere appieno la propria personalità senza spendere un patrimonio, dettaglio non da poco di questi tempi.
Chiunque ne ha indossato almeno uno nella vita, è uno dei capi d’abbigliamento invernali più utilizzati e amati, io personalmente lo adoro così tanto da aver ideato un mio modello che puoi trovare cliccando a questo link.
Domanda retorica! La bellezza di questo berretto è che puoi utilizzarlo proprio come meglio credi, è troppo versatile per chiuderlo in una sola categoria.
Puoi personalizzarlo, sbizzarrirti con gli accessori e utilizzarlo del colore che più preferisci, devi solamente decidere con cosa abbinarlo in base al tipo di occasione.
Hai bisogno di eleganza? Cappotto e beanie.
Hai bisogno di comodità? Piumino e beanie.
Vuoi sentirti intellettuale? Occhiale e benie.
Vuoi fare il bagno? Costume e bea... ah no, mi sono lasciato trasportare dalla sua duttilità! E tu, quanti ne hai in armadio?
Forse non tutti sono a conoscenza del fatto che per ogni persona c’è una palette colori ideale, che non deriva solamente dalla scelta dell’abbigliamento, ma che passa anche attraverso la scelta del giusto make- up, dei gioielli e di tutti gli accessori in generale.
Possiamo dunque affermare che, per valorizzare il proprio aspetto, è necessario procedere con una giusta analisi del colore, senza tralasciare quella inerente alla stagionalità.
Ogni consulente d’immagine è ben conscio di quanto sia fondamentale abbinare alla propria persona una tavolozza di colori appropriata, e dunque negli ultimi anni l’armocromia ha assunto sempre più rilievo.
Ma da dove parte il concetto di armonia cromatica? Quali sono state le personalità di maggior rilievo?
Come si fa a scoprire la propria palette?
All’interno di questo articolo andremo a rispondere a queste e ad altre domande, siete pronti? Andiamo!
Se parliamo di armocromia non possiamo prescindere dal farvi conoscere Bernice Kentner, una delle personalità più importanti del settore.
Bernice, una consulente d’immagine oltre che cosmetologa americana, pubblica alla fine degli anni Settanta “Color Me a Season”, e da quel momento l’armonia cromatica non sarà più la stessa.
All’interno del suo lavoro viene descritta la teoria delle stagioni (Season Theory), in cui la Kentner espone con chiarezza e innovazione un concetto fino ad allora non preso in considerazione.
In sostanza, la teoria sostiene che in ogni stagione ci sono delle sfumature cromatiche che somigliano molto ai colori naturali di ogni donna, preso atto di questo, Bernice distingue quattro tipologie diverse di palette, una per stagione, che se utilizzate nel modo giusto valorizzano la bellezza femminile.
Dopo aver approfondito l’importanza dell’americana è arrivato il momento di tornare a casa nostra, e di parlare di un emblema del Bel Paese se si parla di armonia cromatica: Rossella Migliaccio.
Nei prossimi paragrafi andremo dunque ad esporre la sua teoria, e a scoprire come scegliere al meglio la propria palette colori.
La cosa che ognuno di voi si starà chiedendo è la seguente: “come posso trovare la palette colori adatta a me?” e dunque andiamo a scoprire qualche trucco che ci deriva direttamente da Rossella Migliaccio.
Il primo passo è quello di struccarsi e, una volta che si è al naturale, esporsi alla luce del sole avvicinando dei drappi di tessuto di colori diversi, caldi e freddi, senza dimenticare l’oro e l’argento!
A questo punto bisogna valutare con quale tonalità di colore il viso viene messo in risalto, e successivamente si può distinguere se si è valorizzati dai colori caldi o da quelli freddi. Superato questo primo step, è arrivato il momento di capire qual è la stagione cromatica d’appartenenza.
Ok, ora avete capito se siete da colori caldi o da colori freddi, ora è arrivato il momento di capire qual è la vostra stagione!
Iniziamo con la primavera, la stagione che più valorizza la pelle chiara con tonalità come pesca, avorio o beige. In questa stagione saranno privilegiate le persone con gli occhi chiari e capelli chiari o rossi.
La carnagione avrà una nuance calda, e di conseguenza le palette da prediligere saranno l’arancione, il cammello, il marrone, il giallo e il rosso. Si può poi spaziare anche con l’azzurro cielo, il verde acqua, il più forte blu cobalto, il turchese e il viola in pervinca.
Sono sicuramente da evitare i colori più scuri perché, oltre a non valorizzare affatto il proprio aspetto, spengono completamente la luminosità del viso. È preferibile dunque optare per colori pastellati e delicati.
Passiamo ora all’estate, la stagione fatta ad hoc per chi ha una carnagione molto chiara, luminosa e dagli occhi e dai capelli anch’essi chiari. La palette di colori più adeguata è quella composta da colori freddi oppure da tonalità tenue.
Un outfit rosa, lavanda, bianco perla, o composto da sfumature d’azzurro è sicuramente il più adeguato. Sono invece da evitare le tonalità come il marrone e l’arancione, tanto cari invece alla primavera.
Più ci addentriamo nell’argomento e più ci rendiamo conto di quante sfaccettature abbia, proseguiamo dunque con le ultime due stagioni mancanti: l’autunno e l’inverno.
La carnagione di chi fa parte della stagione dell’autunno è calda oppure olivastra, i capelli sono castani, rossi o neri, anche se in alcuni casi possono essere anche biondi. Gli occhi tendono al verde o al castano, anche se qualche tonalità più scura non è da escludere.
Dunque, la palette colori di chi fa parte di questa stagione potrà basarsi sull’arancione, sul marrone, sul color rame, sul color bronzo, sul giallo, sul verde e sul color crema.
Non bisogna invece cadere nell’errore di scegliere il viola, il grigio, il nero e il rosa.
Fanno parte della stagione dell’inverno tutte le persone con una carnagione color ebano, beige o olivastra, con capelli particolarmente scuri o al contrario biondo platino.
Il colore degli occhi o è in contrasto con quello dei capelli oppure è anch’esso molto scuro, non hanno mai una tinta tenue.
Dunque, bisognerà scegliere il proprio outfit optando per colori intensi, bianco, blu, sia navy che elettrico, verde, rosso, giallo, viola e indaco.
Sono assolutamente da evitare i colori della terra, vietato dunque il marrone ma anche il verde oliva!
Dopo aver approfondito con cura come varia la palette in base alla stagione di appartenenza, è necessario specificare una cosa: è riduttivo includere ogni persona in sole quattro categorie, dato che le caratteristiche di ognuno sono molto diverse.
Per questo motivo sono state creati 12 sottogruppi, che hanno lo scopo di dare maggior specificità nella scelta, e ora te li riporto di seguito:
Primavera
Spring Light
Spring Warm
Spring Bright
Estate
Summer Light
Summer Cool
Summer Soft
Autunno
Autumn Deep
Autumn Warm
Autumn Soft
Inverno
Winter Deep
Winter Cool
Winter Bright
Ecco tutto quello che c’era da sapere a proposito dell’armocromia, per ogni dubbio, non esitate a contattarmi!
Oggi ti voglio parlare del motivo per cui il mio stile di moda viene definito genderless, e perché questo sarà il più vincente nel futuro.
Cominciamo con il dare la definizione del termine: spesso viene definito erroneamente come quello stile che una volta veniva chiamato unisex, ma definirlo in questo modo non basta.
Infatti, se all'apparenza sono termini che esprimono lo stesso concetto, il termine genderless contiene in se stesso anche la fluidità di genere e tutto ciò che rappresenta.
Per questo motivo possiamo asserire che il suo significato è molto più profondo e attuale, non si limita solo a dire che un capo può essere vestito da entrambi i sessi, ma anche che esso non pregiudica l'identità di genere di chi lo indossa.
La moda è da sempre un termometro sociale, si fa portavoce delle esigenze e dei cambiamenti che avvengono nel tempo all'interno della società e lo esprime attraverso i suoi capi.
Più che un mero stile da portare in passerella il genderless si fa portavoce di un intero movimento sociale promotore di libertà, e questi è completamente in linea con la mia visione di pensiero.
La società è liquida e in continua evoluzione, la moda non deve far altro che esprimere con i suoi capi i cambiamenti che avvengono in essa, fotografandola e donandole maggior forza.
Infatti, da sempre gli individui e i gruppi sociali vengono identificati tramite il loro modo di vestire, è grazie alla moda che spesso ci si sente di appartenere a un gruppo, essa è in grado di identificarci.
Grazie alle grandi battaglie combattute in questi anni l'identità di genere non è più prevaricante, e la moda ha dato la sua risposta al movimento: il genderless.
Capiamo bene dunque che la direzione che si sta prendendo corre parallelamente ai mutamenti sociali, e dunque questo stile particolare non può che essere quello del domani.
Libertà, coraggio, personalità e stile, tutti termini che sono propri di questo bellissimo modo di essere, di pensare e di vestire, che grazie alla sua enorme forza è destinato a cambiare per sempre il mondo della moda, portandoci nel futuro.
Sarebbe troppo facile creare tutti capi monocolore e privi d'identità, in qualche modo starebbero bene a tutti.
Ma io non ricerco le cose facili, la mia idea di moda non prescinde mai dalla personalità dei capi.
Dunque, voglio dimostrare che è possibile creare una linea genderless anche utilizzando colori, dando forza e grinta a un capo senza depersonalizzarlo.
Ogni dettaglio ha la sua forza, e privarsene per avere un maggior bacino di acquirenti non è nella mia idea di moda.
Perché chi vuole un capo genderless dovrebbe vestire per forza senza personalità? Il concetto non perderebbe tutto il suo significato?
Questi sono i motivi per cui cerco di creare per i miei acquirenti dei capi che siano in grado di renderli appagati, unici e felici, rispettando proprio l'importante concetto che il genderless esprime.
Jon Batiste scriveva: “Le persone ti vedono prima di sentirti, e quando ti guardano, deve già risuonargli qualcosa in testa”.
Avere una forte immagine può aiutare band e artisti a distinguersi dalla massa, incanalare un certo tipo di messaggio e andare di pari passo con la proposta musicale offerta.
Artisti leggendari hanno tutti un’immagine unica e iper-riconoscibile (gli abiti eleganti bianchi o viola di Prince – è questa l’immagine che ti si forma in testa quando pensi a lui) che li ha aiutati a essere vere e proprie icone.
D’altra parte, anche chi ascolta musica ha una inclinazione spontanea e naturale a vestirsi secondo lo stile di ciò che gli piace ascoltare.
Il desiderio di conformazione con chi condivide le nostre passioni e interessi fa parte del nostro DNA.
Il rapporto fra moda e musica, negli ultimi anni, è sempre più forte. Non dimentichiamoci dell’abito provocatorio di Lady Gaga, in carne fresca dello stilista Nicola Formichetti.
Ma nonostante il millennio abbia introdotto nuovi trends e novità, si è iniziato a guardare sempre più ostinatamente al passato, riportando in auge mode e tendenze dalle varie annate in maniera ciclica.
La musica è in continua evoluzione, e così lo è la moda. Le due cose continueranno ad andare avanti assieme talvolta su binari paralleli, in maniera del tutto slegata se non in antitesi, altre volte incrociandosi valorizzando uno le caratteristiche dell'altro. Quel che è certo è che entrambe sono in grado di regalare emozioni che colpiscono nel profondo.
Entrambe sono in grado, mattone dopo mattone, di costruire la nostra identità. Non esiste l'una senza l'altra, nemmeno quando convivono con discordia.
E quando si completano, come perfetti pezzi mancanti di un puzzle, si innalzano a vicenda dimostrandoci che, nonostante tutto, c'è ancora del bello nel nostro mondo.
]]>"La moda passa, lo stile resta“, questa è la massima di Mademoiselle Coco Chanel che sicuramente tutti, almeno una volta, avranno sentito o letto. Nata nel 1909 la famosa Maison Chanel apre il primo negozio a Parigi e, con il tempo, è diventata uno dei marchi più conosciuti e prestigiosi nel mondo della moda.
Lo stile CC è famoso soprattutto per aver sostituito i sontuosi e, a volte eccessivi, abiti femminili con modelli più semplici e comodi. Per la prima volta nel mondo della moda, la donna viene equiparata al genere maschile. Grazie a questo pretesto, il tweed (tipo di stoffa in lana e originario della Scozia), tessuto indicato come prettamente maschile, si trasforma in femminile. Chanel lo rende morbido ed elegante, e sono soprattutto le novità apportate da Karl Lagerfeld a renderlo ancora più unico.
Lo stilista lo dipinge infatti di fucsia, lo impreziosisce di glitter, frange e tulle, lo trasforma in stile hip hop ed altro ancora. Ma quindi, se il tessuto nasce maschile, perché fino ad ora è stato usato solo dalle donne?
Ecco dove è nata l'ispirazione per creare capi da uomo con questo tessuto, il tweed. Elegante ma al contempo inusuale, evergreen e indossabile durante tutto l’anno, il tweed è pronto a sdoganare ogni tipo di genere, proprio come la mia filosofia racconta.
L’outift perfetto della tuta? Portalo con una sneaker bianca e di certo sarai al centro dell’attenzione!